Pulire e tagliare a spicchi non troppo spessi i carciofi, saltarli in padella con un goccio d’olio e uno spicchio d’aglio, aggiungere la carota tagliata a bastoncini. Dopo qualche minuto insaporire con del gomasio o sale (non troppo perché poi ci penserà la salsa di soia a dare sapidità) e infine bagnare con 2-3 cucchiai di salsa di soia. Farla ritirare a fiamma vivace dopodiché aggiungere la metà del brodo e portare quasi a cottura le verdure. 5 minuti prima che siano definitivamente cotte aggiungere gli straccetti, un altro po’ di brodo e infine una punta di peperoncino habanero orange (ma anche peperoncino normale o pepe se si preferisce). Ultimare la cottura e servire.
Adoro gli utensili in legno, e il tagliere è il loro Re. Sogno di cucine sconfinate in cui troneggi Lui, grande, pesante e che sa di olivo.
E invece ho un cucinotto e i taglieri dell’ikea (che San Francesco Caracciolo mi perdoni). Almeno fino a pochi giorni fa quando, nel mio cucinotto, è arrivato i’ principino. Omaggio inaspettato giunto a cavallo della cortesia.
Un tagliere dell’Antica Macelleria Falorni, di quelli usati per servire in tavola; così, per sognare la loro tartare di vitellone alla “sbriciolona” e fichi secchi – e dico sognare perché oggi è il mercoledì-veg!
L’ho trattato come si confà, ovvero con olio di semi (bio naturalmente) passandolo su tutta la superficie due volte a distanza di un giorno, procedimento che, a quanto ho appreso nel documentarmi un po’, è buona regola fare 2 volte l’anno.
Ci sono vari tipi di olio che si possono usare: naturalmente l’olio di oliva ma alcuni sostengono che irrancidisca e che quindi sia meglio procedere con un olio di semi (lino, girasole…); oppure l’olio di vaselina enologico/farmaceutico. A questo link trovate consigli semplici per una pulizia regolare e curata degli utensili in legno.
Nessun contenuto “hot” però, solo ironia – per quanto, proprio l’ironia mi risulti estremamente sexi. Mi riferisco alla “mia prima volta” nel ruolo di foodblogger in prima linea, quella che va nei posti ganzi, li fotografa, si informa prima-durante-dopo l’incursione, assaggia i piatti forti, li recensisce scrivendo un ottimo post sul suo blog e, guadagnandosi una buona reputazione tra i suoi lettori, diventa pian piano un cosiddetto “influencer”. Come è stata la mia interpretazione? Scarsina, quasi dilettantistica; ne conseguirà un articolo sfigato che gioca al ribasso per risultare simpatico. Siete avvisati, prendetelo come un dogma.
Nei miei pensieri, questa prima volta mi avrebbe vista organizzata, figa, preparata. Invece ero in cerca delirante di una penna.
E per fortuna che il locale è accogliente, ben curato ma senza incutere soggezione; ci invitano a sederci dove preferiamo e chissà come, finisco proprio col volto rivolto verso la lavagna del menù del giorno.
I dubbi amletici iniziano ad assalirmi:
glielo dico che vorrei scrivere un post su di loro?
sembrerò maleducata se mi beccano a fotografare?
si, bisogna che chieda il permesso
allora gli devo dire il motivo
ma se glielo dico prima di mangiare sembra che voglia una cura particolare
ma se glielo dico dopo, sembra fatto a tradimento
scommetto che Edoardo Raspelli non ha mai avuto di questi dubbi.
Insomma, alla fine ho blaterato qualcosa su un fantomatico blog e un’amica in comune e ho ordinato un’insalata mista.
E qui possono partire cori e fischi:
Lettore: Invece di assaggiare i mezzi paccheri alla crema di piselli, il taboulé di cous cous o il seitan alla siracusana hai preso un’insalata mista?
Io: Si, ma giuro che ho osservato attentamente i piatti dei miei vicini di tavolo.
E a mia discolpa posso addurre un elemento probante: la scheda per comporre la “mia” insalata. Potevo forse rinunciare ad un lapis e ad un foglio tutto colorato su cui scrivere? Potevo rinunciare a quello che aveva tutta l’aria di un giochino? no. E quindi vada per l’insalata, che è risultata buona e tanta.
la foto non rende giustizia alle dimensioni (e in fatto di cibo non la penso come nel sesso: le dimensioni sono importanti!)
Ruminando la verdura, e rimpinzandomi di pane oltre ogni mia intenzione, penso che quello che mi interessa di più è il progetto che sta alla base di questo tavolino, di quel menù e delle materie prime che compongono i piatti e che ve la devo raccontare:
il proprietario del DOGMA è Salvo, un ragazzo siciliano che ha cambiato la sua vita professionale cogliendo un’occasione che gli si è presentata qui a Firenze (si, siamo a Firenze). Con lui si è imbarcata Olachi, la ragazza che lo affianca in sala e lo chef, Antonio, che dalla Sicilia lo ha raggiunto per essere l’anima intransigente della cucina (“neanche per un caso i piselli surgelati possiamo comprare” mi dice Salvo parlando di Antonio). Si, perché al DOGMA partono solo dalle materie prime, non c’è niente di già pronto; i prodotti sono al 99% BIO anche se ancora non possono scriverlo per questioni di carattere burocratico e anche i mobili se li sono fatti in gran parte da soli assemblando materiali di scarto ma con una cura e una riuscita assolutamente credibili.
I piatti, principalmente vegani (e io ci sono venuta apposta per il mio mercoledì-veg), sono cucinati sulla base di ricette siciliane le cui materie prime essenziali, quelle senza le quali i piatti non avrebbero un sapore tradizionale, arrivano direttamente dall’isola patria anche a costo di notevoli complicazioni. E io gliene sono grata, perché il cannolo siciliano che ho mangiato dopo l’insalata, riempito al momento, era da 10 e lode.
Si ok ho sgarrato, mea culpa, ma voi che avreste fatto?!
Apprezzate almeno la sincerità e credetemi se vi dico che un pranzo qui vale la pena (per adesso non coprono servizio cena ma stanno organizzandosi per iniziare a settembre) magari di lunedì, perché potreste trovare un buffet a prezzo fisso con la formula “all you can eat” e Salvo che vi parla dell’oliva “iblea” e del suo olio. Io ci torno sicuramente.
Se volete altre informazioni potete andare sulla pagina fb o scrivere a dogmacafe@libero.it
Conoscete l’iniziativa che la Lega Anti Vivisezione (LAV) ha promosso nel 2012 per dare alla nostra alimentazione una svolta sostenibile e salutare? Si chiama “mercoledì veg” e consiste nell’impegno di non usare cibi di derivazione animale per un giorno la settimana, il mercoledì.
Solo questo gesto può garantire a noi – come individui – un miglioramento della salute fisica e un certo risparmio economico (la carne e il pesce costano certamente di più rispetto alla verdura e ai legumi) e, in una scala molto più ampia, un abbassamento considerevole dell’impatto ambientale. Iniziative analoghe sono presenti in varie parti del mondo ma in veg-days differenti.
Io ne sono venuta a conoscenza solo pochi giorni fa e da subito mi è sembrata il mattoncino lego che mancava a sostegno della mia coscienza, nella personalissima querelle tra la mia anima onnivora e quella attenta alla salute e all’ambiente. Nel senso che: vorrei ma anche no. Ma per un giorno la settimana, anche si.
Non mi addentrerò in questioni di salute o strettamente etiche perché sono faccende talmente personali che non mi sento di dare consigli (sapete ormai che, in generale, la penso così); l’ambiente però è affare comune e la sinergia sarebbe d’uòpo: produrre alimenti vegetali è più ecologico di quanto lo sia la produzione di carne, uova, formaggi: lo dimostrano studi internazionali sul consumo di acqua e di foreste, sull’inquinamento atmosferico e il riscaldamento globale. Nell’informarmi su questa iniziativa ho letto un po’ di numeri da capogiro, ve ne riporto qualcuno per farvi girare un po’ la testa (ma non “voltare” la faccia):
produrre 1 etto di salumi ha un’impronta ambientale di oltre 10 kg di Co2 (quelli che produce un’utilitaria in un tragitto di 90 km)…1 etto!
ogni hamburger comporta la distruzione di 5 mq di foreste.
basta sostituire 1 kg di carne a settimana con prodotti vegetali per risparmiare 15500 litri di acqua
Ma il più importante è questo:
“se tutta la popolazione italiana adulta adottasse un’alimentazione vegana per un solo giorno la settimana, il risparmio in termini di emissioni di Co2 equivarrebbe a miliardi di km in meno percorsi in automobile, e a miliardi di litri di acqua risparmiati. Una sola persona per un anno, risparmierebbe l’equivalente del consumo di una lampadina accesa ininterrottamente per 277 gg”. (da prontoconsumatore).
Davvero, una volta la settimana mi sembra un impegno che posso prendere; in fin dei conti, mi capita spesso di mangiare vegetariano o vegano senza averlo programmato. Oggigiorno il problema della reperibilità delle ricette è inesistente e anche quello della reperibilità di alcuni prodotti in sostituzione di quelli animali. Se però avete dei dubbi vi segnalo il sito cambiamenù e la pagina fb mercoledì veg.
In questo mio primo mercoledì veg ho cucinato un cous cous integrale con verdure, ceci, pinoli tostati e menta…
Cosa cucinerò nelle prossime settimane? Tranquilli, vi tengo aggiornati!