< Ciao bella mia, abbiamo trascorso una buona stagione, tra risotti, vellutate e tegliate di verdure al forno. Ti abbraccio, cirisentiamoasettembre, stammi bene. >
Aprile è arrivato, la Pasquetta volge al termine e quindi oggi 2 aprile 2018, saluto la zucca e la metto a nanna fino alla prossima stagione.
Per onorare l’ultima “mantovana” che cucinerò da qui ad autunno mi sono fatta un buon “ragù” di zucca – lo chiamo così in virtù del fatto che la verdura sia tritata; così come la macinata di carne nel ragù vero.
– zucca (già pulita) 300 gr
– porri 1
– olive nere denocciolate
– alloro 1 foglia
– vino rosso 1/2 bicchiere
– olio, sale, peperoncino q.b
– acqua calda q.b
Affettate finemente il porro e rosolatelo in un tegame con l’olio.
Aggiungete la zucca tritata nel mixer e fatela appassire salandola un po’;
unite la foglia di alloro, peperoncino secondo il vostro gusto e sfumate col vino rosso.
Aggiungete le olive anch’esse tritate nel mixer.
Aggiungete un po’ di acqua calda e portate a cottura aggiustando di sale e aggiungendo eventualmente un po’ d’olio. Una volta cotto il sugo, passatelo col frullatore a immersione in modo da renderlo più cremoso.
Una volta cotta la pasta aggiungete un po’ d’acqua di cottura e saltare la pasta nel tegame insieme al sugo.
In fatto di tendenze sul cibo, ultimamente va per la maggiore la pratica di servire le pietanze usando barattoli al posto dei piatti. Una cosa che mi piace molto devo dire e che si presta agli usi più differenti: ideale per il pic-nic, per la gavetta (vedi schiscetta, lunch box, gamella, pranzo al sacco ecc…) ma anche per una cena servita in modo inusuale. I barattoli si possono usare anche per regalare biscotti e zuppe in vaso: il dono consiste in un barattolo contenente gli ingredienti secchi già misurati cui il beneficiario dovrà aggiungere quelli umidi che voi gli avrete segnalato nella ricetta infiocchetata a corredo del barattolo.
A me invece piace la cucina in bicchiere.
Avevo già assecondato la mia idea per qualche tartare di pesce ma quando in libreria ho visto il libro con le ricette di José Maréchal “Bicchieri golosi” – edito da Guido Tommasi editore – ho subito sognato un giro per mercatini alla ricerca di vetri e cristalli. Poi però mi sono frenata assicurandomi prima, che il libro arrivasse in mio possesso.
Ed eccolo qui! Decisamente all’altezza delle mie aspettative.
Non ho resistito e prima ancora di averlo letto con cura – molto prima, dopo neanche 40 pagine – ho deciso di buttarmi e di (non) perdermi in un bicchier (d’acqua). Seguendo dal libro la ricetta del pistou per una pasta fredda molto semplice ma d’effetto e progettando alcuni “bicchieri” basandomi invece sui piatti che preparo con frequenza – quelli che, per intendersi, se si trattasse di un provino, sceglierei come monologhi da presentare – ho deciso di dedicare la domenica ad invasare le pietanze per la cena anziché impiattarle.
Ci ho messo un intero pomeriggio, solo cucinando per due, (e non perché i piatti fossero complessi!) ma mi sono divertita come una bambina e ne è valsa la pena.
Ora vi dico e vi mostro come era articolata questa cena dei bicchieri ma prima sollevo il problema che mi si è presentato al momento di pensare alla tavola: che piatti si mettono per servire dei bicchieri? Naturalmente dei sottobicchieri. Bene, problema risolto…peccato che io non abbia mai avuto un sottobicchiere. E la tovaglia? Vorrei qualcosa di colorato, ma io e la mia voglia di bianco in tavola non abbiamo tovaglie colorate. Però abbiamo delle tende. Bene, vada per le tende, problema risolto. Per i sottobicchieri decido di usare dei dischetti in cartone ondulato che separavano nella loro scatola un set di tazzine e piattini, e dei dischi più grandi ritagliati da un cartoncino. Evvai!
E ora veniamo al dunque:
Antipasto
PINZIMONIO IN SALSA DI FORMAGGIO “BLU”SCAMPI ALLA TEQUILA IN SALSA MARGARITA DI AVOCADOS CON SORPRESA DI NACHOS (nel senso che erano sbriciolati e nascosti sotto la salsa!)
Primo
FARFALLE CON VERDURINE E SCAMPI CONDITE CON “PISTOU”
Secondo
POLPO CON PATATE IN SALSA VERDE
Dessert
PESCHE CON AMARETTI E PINOLI
Ma sapete che era tutto proprio buono?! La palma d’oro va agli scampi alla tequila ma la scoperta che mi ha resa più felice aprendomi numerose possibilità è stato il “pistou” – una salsa di origine provenzale simile al nostro pesto genovese ma senza formaggio. Pestando basilico, pinoli, aglio e olio, si ottiene una salsa dalla consistenza più leggera rispetto a quella cui siamo abituati e che si presta a svariati usi. In questo caso per la pasta, che è stata servita fredda con delle verdure saltate in padella (qui, zucchine e peperoncini verdi piccanti) dei pomodorini ciliegia e degli scampi.
Gran soddisfazione vi dico! E divertente mangiare (e bere naturalmente, ché una bella bottiglia di prosecco non ce l’ha tolta nessuno!) nei bicchieri.
Un paio di settimane fa, viaggiando in auto verso Brescia alla volta di un evento di tango, alla radio ho ascoltato un’intervista ad una cardiologa. Il discorso era già avviato quando mi sono sintonizzata, quindi inizialmente non riuscivo bene a capire di che argomento stessero parlando. La frase che la dottoressa ripeteva quasi ossessivamente poi, è stata fuorviante: “il cuore delle donne è speciale (…ale…ale…ale..e), cosa che mi faceva vacillare nel risolvermi tra l’intervista scientifica e quella ad un’attrice di fiction. Pian piano sono venuta al bandolo della matassa ma il tono dell’argomentazione mi infastidiva alquanto: “il cuore delle donne è speciale, diverso da quello degli uomini”. Implicando, foss’anche senza intenzione, che quello dell’uomo è NORMALE, ordinario e associando il ruolo femminile alla sfera emotiva, cosa per altro naturale a mio avviso ma ampiamente e talvolta banalmente abusata. La mia mente è corsa subito ad un libro che per me è stato pacificante oltre che grandemente divertente: “La manutenzione del maschio” di Jacopo Fo. Il titolo può far presagire uno zinzino di sessismo, (proprio come l’intervista di cui sopra) in realtà il libro tratta le differenze in amore tra uomo e donna in maniera assai equilibrata ed ironica fornendo alcune informazioni essenziali sull’amore a partire dal cervello, che è diverso nell’uomo e nella donna. La mente umana, a quanto scrive Fo, è relativamente nuova, “viene usata intensamente solo da una decina di migliaia di anni; lo stomaco invece, per fare un esempio, ha avuto a disposizione centinaia di migliaia di anni per perfezionarsi”.
Ed ecco che le parti si invertono: la ricercatrice parla ad un livello emotivo di argomenti scientifici mentre l’artista – l’umanista – a livello scientifico parla della sfera sentimentale.
Ok, scavalco le mie digressioni “da viaggio in auto” (io salgo in macchina da passeggero e il mondo esterno non esiste più, neanche quello immediatamente vicino, nello stesso abitacolo – quando ero piccola e volevo fare la ballerina, fantasticavo di ballare. Oggi le cose non sono molto differenti) e arrivo al nocciolo: al di là delle modalità di presentazione mediatica dell’argomento, la cardiologa ha catturato la mia attenzione quando ha sottolineato che, essendo questa diversità scoperta assai recente, fino ad ora i due cuori sono stati curati allo stesso modo benché differenti, basandosi però sul “modello maschile”, se mi passate l’espressione. (E qui siamo daccapo, ditemelo che stasera è una congiura questa del sessismo!). Ma in che modo sono diversi – mi domandavo – ? la dottoressa prontamente mi ha risposto: nel modo di ammalarsi.
Avvertenza! Io non sono un medico, quello che scriverò da qui in poi è quanto ricordo della trasmissione radiofonica ma non ha assolutamente valore professionale (se volete avere informazioni più credibili andate qui)
L’infarto del miocardio è il modello maschile, in cui l’occlusione che impedisce al sangue di arrivare al cuore interessa le arterie coronarie. Il modello femminile – che peraltro in fase di crisi presenta gli stessi sintomi, dall’alterazione degli enzimi al forte dolore al petto – riguarda invece il “microcircolo coronario” (si, questo sono andata a ricercarmelo, ché chi se lo ricordava?!) cioè i vasi coronarici più piccoli e quindi anche meno evidenti. Questa malattia colpisce principalmente le donne dopo la menopausa e in particolare in momenti di grande dolore, come un lutto. Per questo, e secondo la modalità di rappresentazione mediatica di cui sopra, è stata chiamata sindrome da crepacuore. Studi Giapponesi hanno rilevato che il cuore prende una caratteristica forma che noi diremmo a palloncino ma che i giapponesi associano invece al Tako-Tsubo, una cesta per raccogliere i polpi. Ma qui la cosa si fa ancora più specifica e io non mi avventuro oltre, ho già sfidato a sufficienza la sorte.
Però vado a dare una spolveratina al libro di Fo perché fa bene al ménage familiare e intanto vi lascio una ricettina facile ma un po’ approssimativa (sorry!) da fare quando in casa è rimasto solo dello sgombro sott’olio. Ovvero alla catastrofe.
Sgombro in agrodolce:
2 scatolette di sgombro sott’olio
1 cipolla rossa*
aceto di vino rosso*
zucchero di canna chiaro*
acqua
pinoli
olio e.v.o*
Tagliare finemente la cipolla. In un pentolino portare ad ebollizione un paio di bicchieri d’acqua con dell’aceto rosso (la quantità decidetela voi secondo il gusto considerando però che l’ ”agro” si deve sentire). In un altro pentolino far rosolare la cipolla con un pochino d’olio e aggiungere metà del liquido non appena inizia a dorare, in modo che resti morbida. Far evaporare un po’ a fuoco vivo quindi iniziare ad aggiungere un cucchiaino raso di zucchero. Non so darvi una dose esatta, io procedo per tentativi assaggiando l’acqua via via e facendo lo stesso per testare l’aceto. L’agrodolce è un gioco di equilibri (come per la donna e l’uomo) e quindi preferisco affrontarlo per gradi ché ha già in sé le lacrime della cipolla. Abbassare la fiamma e far insaporire, se necessario aggiungere gradualmente altro liquido (sia esso solo acqua, solo aceto o entrambi secondo la vostra propensione per il maschile o il femminile). Tenete presente però che a cottura ultimata dovrà esserci sufficiente liquido da coprire i filetti di sgombro. Scottare in padella antiaderente una manciata di pinoli.
Quando le cipolle saranno cotte, ben morbide e insaporite di agrodolce, spegnere il fuoco e lasciar intiepidire. Intanto scolare i filetti di pesce ed estrarli con cautela dalla scatoletta in modo da poterli adagiare a strati in una piccola terrina o recipiente per il frigo. Intervallare gli strati di sgombro con le cipolle, un po’ di pinoli, un filo d’olio e finire di coprire col liquido di cottura ma senza affogarlo che già sta messo male! Far riposare un po’ prima di mangiarlo e anche se l’ideale sarebbe il giorno prima per il giorno dopo e con lo sgombro fresco cotto in forno con solo un po’ di sale, un filo d’olio e poi sfilettato, va bene anche con la scatoletta e la fretta perché per la perfezione c’è ancora tempo.
“si, c’è ancora tempo” – dissero i pesci un attimo prima di finire in forno.
(*ingredienti biologici)
C’è tempo per la perfezione!
E voi ce l’avete una ricetta a base di unione e contrasti?
Ieri, per la cena pre-natalizia del G.A.S che aveva come tema un “giro di risotti”, io ho fatto una piccola virata e ho sperimentato uno sformato di riso. E quanto mi è piaciuto!
Ecco dunque, che col riso sulle labbra, vi propongo la ricetta che può essere realizzata in un unico stampo o negli stampini a porzione:
x 350 gr. di riso (io ho usato quello semi integrale)*
X 200 gr di mozzarella fior di latte*
X 100 gr. di prosciutto arrosto
x 1 bicchiere di latte freddo parzialmente scremato
x noce moscata q.b.
x 8 cucchiai di parmigiano grattugiato*
X 1 uovo (piuttosto grande)*
x sale q.b.* (io uso sempre quello integrale perché la raffinazione è una maledizione! E siccome il sale integrale è sempre grosso, e non in tutte le ricette lo si può usare così, io lo frullo nel mixer)
X olio e.v.o*
Lessare il riso e poi metterlo in una terrina dopo averlo ben scolato. Spolverizzarlo con noce moscata grattugiata quindi aggiungere il bicchiere di latte freddo. Unire l’uovo e mescolare bene. Tagliare a dadini la mozzarella e aggiungerne metà al composto. Infine unire 5 cucchiai di parmigiano grattugiato ed un pizzico abbondante di sale.
Dopo aver foderato una pirofila tonda con carta da forno versare all’interno metà del composto. Livellarlo con una forchetta e sistemare sopra prima le fette di prosciutto arrosto e poi la mozzarella a dadini.
Quindi versare il rimanente composto a base di riso come ultimo strato livellandolo con i rebbi della forchetta (che bella parola “rebbi”!). Spolverizzare col restante parmigiano e bagnare la superficie con un filo di olio extravergine di oliva.
A questo punto mettere in forno già caldo a 180° e lasciar cuocere per una mezz’ora o finché la superficie del tortino si sarà dorata. Una volta tolto dal forno lasciarlo intiepidire prima di servirlo in tavola.
p.s. Io a questi ingredienti ho aggiunto anche del cavolo fiolaro, un tipo di cavolo simile a quello nero ma dal sapore più delicato.
Io ho iniziato a mangiare il lesso da pochi anni e a passi molto graduali e che mi azzardo a cucinarlo è ancora meno. Ma mi sono già fatta alcune idee ben precise derivate principalmente dall’ascoltare donne che invece lo cucinavano con regolarità.
1) Il lesso e il bollito non sono la stessa cosa. Io il bollito non l’ho mai fatto.
2) Per un buon lesso, la carne si butta in pentola quando l’acqua bolle; per un buon brodo, la carne si butta quando l’acqua è ancora fredda. Sto ancora aspettando l’illuminazione che mi permetta di farli buoni contemporaneamente.
3) Gli odori: cipolla, sedano, carota, patata, prezzemolo, pomodoro.
4) Il tempo di cottura: circa due ore. Ma quando posso lo cucino qualche ora prima e lo lascio intiepidire nel brodo (una sorta di lesso “alla marinara” visto che questa è la regola fondamentale per cucinare il polpo)
5) Quando avanza si fa la “francesina”, ovvero il lesso rifatto con le cipolle. Ancora una leggenda, mai successo.
6) Le salse: fondamentali, senza non c’è lesso. Io vado sul classico con maionese e senape ma ce ne sono tante e ogni famiglia ha le sue convenzioni. Dalla salsa verde al cren, dal piccante alla mostarda ognuno ha le sue preferenze, un po’ come con le posizioni del Kamasutra…perché godere, si gode uguale.
“Ma quanto è bella la cicoria” disse la massaia contemporanea. “Grazie, non sei male neanche tu” rispose la cicoria.
da “I deliri della Massaia Contemporanea”
La cicoria spettinata
Ho scoperto la cicoria! Non che ignorassi la sua esistenza ma non l’avevo mai assaggiata e tantomeno cucinata. È apparsa qualche settimana fa nel listino del fornitore di verdure del G.A.S. e ho pensato di provarla: è stato amore a prima vista! È bella nei suoi eleganti ciuffi scarmigliati, si pulisce velocemente ed ha molte proprietà benefiche per il corpo. A questo link potete trovare tutte le spiegazioni http://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti/10284-cicoria-proprieta-usi
Per quel che so, la si può usare sia cotta che cruda ma io la preferisco cotta perché è una verdura piuttosto amara e usata cruda, ad esempio nell’insalata, per me è troppo forte. Ma cotta e magari unita in qualche ricetta con altre verdure è perfetta. Io per adesso l’ho cucinata saltata in padella con aglio e olio come contorno, l’ho usata nella pasta, in una torta salata e in uno strudel di verdure. Ma la preparazione che mi ha soddisfatta di più è stata la
Frittata con patate e cicoria
Ingredienti per 2 persone:
4 uova
2 patate
300 gr di cicoria (la parte più alta, fogliosa, tralasciando le coste)
Parmigiano
1 spicchio d’aglio
olio e.v.o e sale q.b.
Lessare la cicoria poi scolarla, strizzarla e tagliarla piuttosto finemente per saltarla in padella con olio e aglio. Intanto tagliare a dadini le patate e cuocerle in padella con l’olio. Sbattere le uova con un pizzico di sale e del formaggio Parmigiano grattugiato. Una volta che saranno pronte, unire le due verdure in un’unica padella, schiacciarle un pochino con la forchetta e poi versare le uova e procedere alla cottura.
Io ho sempre le mani fredde. La mia circolazione somiglia a quella delle lucertole: da settembre ad aprile una temperatura cadaverica, col sole d’estate poi, si stemperano un po’.
Ma questo che c’entra con il cucinare, direte voi? Ebbene, per fare le torte salate c’entra eccome! Negli anni ho provato a preparare diversi tipi di pasta (da quella per il pane e la pizza, alla pasta frolla per i dolci) e ho scoperto che quelle non lievitate mi vengono benissimo mentre quelle col lievito, una ciofeca! All’inizio non mi davo pace, poi ho capito il perché ma a quel punto il mio era già diventato disamore per le paste a lievitazione. Il fatto è che un impasto col lievito ha bisogno di calore, mentre le paste senza, che spesso sono con il burro, hanno bisogno di non essere scaldate troppo durante la lavorazione e di essere anche tenute un po’ in frigo prima della cottura. Ecco, le mani gelate della massaia contemporanea sono mani da frolla; o da brisè. Amando spassionatamente le torte salate, la pasta brisè è stata una delle mie preparazioni più frequenti, perché da anni non compro più le paste pronte al supemercato. Poi però, col tempo, volendo limitare l’uso del burro ho cercato delle alternative e alla fine mi sono imbattuta in un tipo di pasta che adoro, la pasta al vino. Io la uso come base per le torte salate, per gli strudel di verdure o per fare degli stuzzichini da aperitivo (magari aggiungendo dei semi di sesamo all’impasto); è più saporita della pasta brisè e io la trovo più digeribile.
Pasta al vino
Pasta al vino
300 gr di farina
100 gr di vino bianco secco
80 gr di olio e.v.o
sale q.b.
Impastare bene tutti gli ingredienti fino ad ottenere una pasta liscia ed elastica. Stenderla col matterello.
Strudel di verdure pasta al vino ripiena di verdure miste di stagione e besciamellaTorta salata con pasta al vino ripiena di cavolfiore, ricotta e parmigiano.
Sono le 11.52, non avendo fatto colazione lo stomaco inizia già a borbottare ma, come accade quando sono sola, non ho voglia di preparami niente che implichi l’uso di pentole e stoviglie. Quindi non resta che il mio alleato più grande: pane e olio.
Però, siccome stasera invece saremo in due, e cucinare per qualcuno è più bello, comincio a preparare la cena; oggi pomeriggio lavoro (That’s Incredible!) poi verso le 20.00 devo uscire per andare al corso di swing quindi se la cena è già pronta, è meglio. Il frigo mi occhieggia addolorato mostrandomi il vuoto che ha dentro. Dal freezer sovraffollato invece provengono lamenti simili a quelli delle anime dei dannati sommersi dal ghiaccio nel Cocito dell’Inferno dantesco e francamente, non ho voglio di aprirlo. Ritorno ad aprire lo sportello del frigo e, dalla cassetta delle verdure ecco che riemergono due sacchetti dimenticati: in uno i finocchi e nell’altro la zucca. Bene, problema cena risolto. Menù: vellutata di finocchi e polpette di zucca…a modo mio! Non le ho mai fatte quindi per prima cosa sbircerò un po’ su internet e poi aggiusterò il tiro secondo i miei gusti e quello che ho a disposizione. Chiedo scusa in anticipo perché non sarò precisa sulle quantità ma la mia (tranne quando si tratta di dolci) è una cucina empirica.
Dal frigo emergono Zucca e Finocchi
Vellutata di finocchi
5 finocchi puliti e tagliati a pezzetti*
1 patata*
1 scalogno*
olio q.b.*
sale q.b
latte parzialmente scremato
noce moscata
Far bollire in acqua NON salata i finocchi e la patata fino a metà cottura. Scolarli tenendo dell’acqua di cottura che andrà aggiunta più avanti. Se ne lasciate un po’ di più, una volta fredda la potrete bere (il finocchio è digestivo, carminativo e sfiammante per il colon). In un tegame far soffriggere lo scalogno con l’olio e poi buttarci la verdura e farla rosolare aggiungendo un po’ di sale. Dopo qualche minuto aggiungere un po’ di latte p.s. e una grattugiata di noce moscata. Poi aggiungere tanta acqua di cottura dei finocchi quanta ne basta a coprirli (non troppa, le vellutate son buone dense e poi siete sempre in tempo ad aggiungerne altra). Far cuocere finché i finocchi non saranno sfatti e poi affidarsi al mitico frullatore a immersione per ottenere la vellutata.
Si può servire con dei tocchetti di pane abbrustoliti o passati in padella con un po’ d’olio.
Polpette di zucca
Zucca *
1 uovo*
parmigiano*
erba cipollina* (io ce l’ho sul terrazzo ma potete scegliere anche altre erbe aromatiche tipo il prezzemolo)
pangrattato
sale e pepe q.b.
Pulire, tagliare a dadini la zucca e cuocerla al vapore. Una volta fredda schiacciarla con una forchetta, aggiungere l’uovo, sale e pepe, l’erba cipollina tritata e il parmigiano. Se il composto non è abbastanza denso aggiungere un po’ di pangrattato. Formare delle palline e passarle nel pangrattato. Cuocerle in forno per 20 minuti a 180° circa. (Io le cuocerò stasera, quindi le conserverò in frigo, così hanno anche il tempo di rassodarsi).
Bene, è tutto pronto adesso non resta che pulire e mettere a posto…GGGRRRRR!
Io nel frattempo ho scritto questo post e mangiato pane* e olio*. N.B. Il pane era quello di martedì scorso ed era ancora buono: W Marco il nuovo produttore di pane di Gassingrasso!
*ingredienti biologici
***
Aggiornamento delle 22,52 I crostini di pane li ho preparati saltandoli in padella nell’olio in cui avevo fatto sciogliere un paio di acciughine sott’olio, una bontà. Il risultato è stato questo, ed è da ripetere.
La vellutata di finocchi con i crostini di panePolpettine di zucca con parmigiano e erba cipollina. La prossima volta al centro ci metto anche una sorpresina di formaggio filante!