Spicciola cronaca di una sera qualunque ma non così qualunque perché è la sera di un giorno parecchio pesante.

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Mi son messa a pulire dopo cena.

Era tanto.

Ho iniziato intenzionata a scrivere, non so cosa ma qualcosa. Mi son detta non ce la faccio, e son rimasta sul divano. Son partita a preparare alcune cose per lavoro intenzionata ad infilarmi poi nel letto e son finita a pulire il bagno passando per la cucina.

Ora in sottofondo musica di tango e il ronzio dell’essiccatore.

poche ore prima….

I parenti della massaia contemporanea

CASALINGO VINTAGE che prepari stasera?

MASSAIA CONTEMPORANEA Eehhh stasera muscolo di grano…

CASALINGO VINTAGE Ah

MASSAIA CONTEMPORANEA è mercoled…

CASALINGO VINTAGE mercoledì vegano, ti becchi il muscolo di grano!

MASSAIA CONTEMPORANEA 😀

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Il caos che ho dentro e le strategie per arginarlo

 

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Oggi vi aprirò il cuore, il cuore del mio armadio. E credetemi se vi dico che è una parte estremamente personale perché in esso sono racchiuse alcune delle mie più profonde debolezze.

Quando comprai questa casa, l’architetto che l’aveva ristrutturata e di cui non finirò mai di dire male per tutta una serie di motivi che non sto a spiegare adesso, aveva previsto lo spazio per un armadio normale. Uno di quelli che per due persone “normali”, forse stringendosi un po’, sarebbe stato sufficiente ad ospitare abiti e biancheria per la casa. Ma in questo appartamento una delle due persone che lo abitano, tanto normale non lo è – almeno per due motivi:

  1. la professione: fare l’attrice, il clown e il clown-ospedaliero prevede costumi, càmici, oggetti, cappelli, scarpe – di ogni epoca, colore e tessuto.

  2. la fissazione: per i vestiti e la propria immagine.

    Questa fissazione è in parte una deformazione di famiglia: tra me, mia mamma e mia sorella la differenza in questa passione sta nei gusti (e neanche troppo) e, in certa misura, nella disponibilità economica o nella tendenza a fregarsene, di questa disponibilità; per il resto, dateci un negozio o una bancarella e riusciremo a trovare qualcosa da comprare anche se gli articoli fossero destinati a laboratori chimici (vuoi mettere il fascino delle ampolline???!!!) o alla cardiochirurgia (una valvola a farfalla ha sempre un suo fascino).

    Ciò che non può la tendenza genetica lo fa l’insicurezza – non vi dico le ore passate davanti allo specchio provando tutto il possibile…ore che aumentano esponenzialmente in fase di sindrome premestruale.

Insomma, addio al progetto del negligente architetto e benvenuto al mio, realizzato grazie alle mani d’oro del mio babbo elettivo Giorgio grazie al quale ho un armadio a tutta parete, alto fino al soffitto capace di contenere i miei vestiti e quelli di mio marito, anche se in percentuale assai differente. Anche la biancheria per la casa? No, quella sta nel vano contenitore del letto. Anche tutti i costumi di scena? No, la maggior parte sta in cantina.

Ma perché, vi chiederete, racconto queste cose? Perché questo è periodo di cambio stagionale degli armadi, pratica che mette a dura prova i miei nervi e quelli di tante massaie, soprattutto quelle contemporanee che troppo spesso, in questo mondo in cui tutto passa attraverso l’immagine sono, loro malgrado, affette dal morbo dell’acquisto compulsivo.

Per quanto mi riguarda la cosa più snervante è il caos che a fine stagione regna tra grucce e scaffali, potete vederne un esempio qui sotto

Il Big Bang
Il Big Bang

no, non ci sono stati feriti.

Comunque, armata di pazienza, di solito ne vengo a capo e riesco a riportare tutto a questo grado di ordine

La quiete dopo la tempesta
La quiete dopo la tempesta

che durerà circa un mese e mezzo per poi iniziare il suo cammino lento ma inesorabile verso il big bang.

Nel rimettere a posto faccio pulizia, eliminando cose vecchie e acquisti sbagliati che spesso, messi nei sacchi per poi essere ceduti a chi può farne buon uso e a varie amiche, acquistano più o meno questa dimensione

Lo smaltimento
Lo smaltimento

Si, potete dirlo che sono pazza! (soprattutto se considerate che questa è solo una parte di quello che ho dato via).

In anni di accumulo e smaltimento ho potuto desumere alcuni punti fermi:

  1. non serve a niente sapere di essere molto brava a scovare cose belle (per il mio gusto naturalmente) rimanendo dentro un badget alla mia portata, perché quando i sacchi di cose da dare via sono così tanti, è inevitabile pensare a quanti soldi ho gettato.

  2. Per quanti buoni propositi io faccia, la stagione entrante mi vedrà nuovamente accumulare e dare via.

  3. dopo aver buttato o dato via qualcosa arriverà sempre il momento in cui mi maledirò per averlo fatto, perché tornerà sempre un’occasione in cui proprio “quello” sarebbe stato perfetto.

Strategie per arginare questi problemi? Ne ho. Funzionano? Quasi mai, ma non per colpa loro.

Vediamole:

  • Evitare accuratamente di avere tempo libero (soprattutto la mattina) per andare a giro tra bancarelle e mercatini – e per una “precaria” come me…

  • Fare un fioretto, una sorta di patto con se stessi mettendo in gioco una posta a cui tenete molto in modo da avere un valido motivo per frenarvi (il trucco sta nel procedere per periodi brevi e con obiettivi precisi: non ditevi genericamente non comprerò niente di superfluo per un anno, non funziona)

  • Non buttate le cose della stagione appena finita, aspettate che ritorni: mettete via le cose invernali e fate ripulisti tra le cose della stagione entrante; solo così avrete (quasi) la certezza di dare via ciò realmente non volete più; un maglione può esservi venuto a noia perché lo avete portato tutto l’inverno e pur credendo di non volerlo mettere più, l’inverno successivo lo rivorrete. Aspettare almeno tre cambi stagionali prima di gettare per noia.

Da quest’anno però a questi punti strategici ne aggiungo un altro – da terapia d’urto – ovvero guardare questo video dal minuto 15 circa. Si tratta di un servizio su un uomo meraviglioso, guardatelo, vi innamorerete di Raphael come è successo a me.

Quanto durerà quest’innamoramento? Temo fino a martedì prossimo, giorno di mercato alle Cascine.

Con rassegnazione,

la vostra massaia compulsiva.

 

Lo zen e l’arte di piegare le mutande

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Oggi finalmente una pausa. Da gennaio è iniziato un periodo lavorativo piuttosto impegnativo che terminerà a maggio, quindi denti stretti e via andare! Perché, nella migliore (leggi peggiore) tradizione del lavoratore atipico – quello, per intendersi, dei contratti a culetto (ops, progetto!), quello che paga i contributi ma che non vedrà mai la pensione perché i suoi, di contributi, servono a pagarla a qualcun altro – tutti lavori si accumulano nello stesso periodo per poi lasciarti improvvisamente in un vuoto cosmico.

Comunque, oggi sono a casa, sola, a tentare di smaltire una tosse tremenda che mi porto dietro da giorni, ripromettendomi relax e dolce far niente. Infatti, dopo aver amoreggiato con l’apparecchio per l’aerosol ho: fatto la lavatrice, preparato il lesso perché stasera voglio fare un’insalata,  passato l’aspirapolvere, dato il cencio in terra (= passato lo straccio), riordinato, piegato la biancheria.

Non c’è niente da fare, io in ozio per più di 3 minuti non riesco a stare; più sono stanca e stressata più ho bisogno di ordine e pulizia e questo, come capirete bene, è un cane che si morde la coda – perché se dopo 8 ore di lavoro per rilassarti devi prima riordinare, pulire e cucinare una buona cena, quando hai finito non ti rilassi, collassi!

Però oggi, il tutto è avvenuto con calma, col piacere di farlo e nella piena accettazione della mia natura. Dunque ho sperimentato la pratica zen della piegatura delle mutande: si, perché se la biancheria ammonta a 12 mutande da uomo, 21 da donna e un numero imprecisato di calzini, canottiere e reggiseni, devi per forza restare zen. Come? Fate in questo modo:

preliminari

– sistemate sul divano la biancheria da piegare

– accendete un po’ di musica, una candela e un bastoncino d’incenso

– stendete sul viso una maschera di bellezza

poi sedetevi accanto al vostro mare di panni e, dopo aver pescato il primo paio di mutande stendetelo bene e avviate la

pratica

1. inspirando piegate verso l’interno il lembo sinistro

Lo zen e l'arte di piegare le mutande

2. espirando piegate verso l’interno il lembo destro

Lo zen e l'arte di piegare le mutande 2

3. inspirando piegate verso l’alto il lembo basso

Lo zen e l'arte di piegare le mutande 3

4. emettendo un Oṃ (ॐ) sistemate da una parte le mutande piegate

Lo zen e l'arte di piegare le mutande 4

 

5. ricominciate con un nuovo paio di mutande

Se non siete andati in iperventilazione, complimenti! siete dei piegatori zen. Se invece vi gira la testa, poco male; godetevi lo stato di dolce stordimento, accasciatevi sulla biancheria e dormite. Avrete finalmente quel relax che tanto desideravate!

Dello stirare col culo e altre faccende

Mister Ferro Da stiro, il ferro coi baffi!
Mister Ferro Da stiro, il ferro coi baffi!

Si lo so, il titolo poteva essere meno rozzo ma è il più azzeccato. E ha due chiavi di lettura: la prima è un riferimento esplicito alla mia inettitudine in materia, la seconda una vera e propria tecnica.

Ma concedetemi di prenderla larga.

Giovedì 7 novembre è stata una giornata da applauso a scena aperta, mai ho recitato meglio il ruolo della casalinga. Alzatami presto ho capito subito di avere energie da spendere e gran bisogno di pulizia e ordine – evidentemente i sensi di colpa per la mia scarsa attività lavorativa durante la notte avevano ben lavorato e l’unico modo per placarli era quello di faticare facendo qualcosa che non mi piace, così da potermi immolare all’altare di Santa Marta – patrona delle casalinghe.

Preso il caffè, preso il magnesio, spippolato un po’ su facebook e twitter, ho deciso di fare le pulizie di primavera perché la massaia contemporanea le pulizie di primavera le fa in autunno.

Guardatami un po’ intorno ho deciso di iniziare dal vano contenitore sotto il letto, quello spazio indispensabile in una casa di 48 mq in cui l’armadio è completamente occupato da vestiti, vestiti e vestiti di lei e due magliette, di lui – che a pensare di metterci dentro anche la biancheria della casa scaturisce una risata degna del più pagato pubblico di sitcom (d’altronde, se la massaia contemporanea non fosse ossessionata dall’immagine, come spiegare il suo folle amore per LemeLeme?). Ma tornando a noi: il vano sotto il letto avrei dovuto aprirlo comunque per prendere il piumone e riporre la trapunta, tanto valeva farsi un unico strappo muscolare alla schiena e darci dentro: dopo aver tirato fuori tutto, aspirato polvere, pelucchi e capelli ho ri-piegato, ri-insacchettato e ri-posto coperte, asciugamani e lenzuola. Ed è emerso un dato allarmante: la sparizione di almeno due tovaglie, un numero imprecisato di tovaglioli, tre paia di lenzuola e due copripiumone. Ho evitato di prendere mantellina e berretto da Sherlock Holmes tanto la soluzione del mistero era talmente elementare che anche quel brocco di Watson l’avrebbe risolto. Così, con grande sangue freddo, ho aperto la tenda che nasconde la montagna sacra, la vetta irraggiungibile, l’unica che non si erode, la montagna di panni da stirare; e lì, tra vari reperti archeologici, ho trovato la biancheria in questione, tanto spiegazzata da far invidia agli origami. Richiudere facendo finta di niente era impensabile, anche perché al primo cambio del letto non avrei saputo con cosa rifarlo quindi, con santa pazienza e tutte le candele votive di cui disponevo, ho passato le tre ore successive tra sbuffi di vapore e sbuffi di impazienza. L’impresa è stata ardua tanto che, sulle lenzuola con gli angoli (maledette macchine infernali inventate da un sadico che ci ha fatto credere di averci facilitato la vita e invece ci ha regalato l’inferno) ho rischiato di abbandonare la scena tra fischi e pomodori, ma alla fine ne sono uscita vittoriosa e il vano contenitore del letto si è richiuso come uno scrigno sui suoi gioielli; grandi applausi, cinque chiamate alla ribalta, e per fortuna non mi hanno chiesto il bis!

Ma torniamo allo scurrile titolo e parliamo di tecnica.

Se non avessi abbandonato per mesi quella roba ma l’avessi piegata “a modino” subito, mi sarei risparmiata tanta fatica e il rischio di inimicarmi Santa Marta, tanto più che bastava ricordare le parole della mamma, anche lei acerrima nemica dello stiro:

A stendere bene e a piegare meglio

l’asse da stiro resta in ripostiglio!”

Non male eh? Solo che questa filastrocca non reca il vero segreto della genitrice-massaia, quel particolare che mi ha sempre fatto ridere e che reputo il vero colpo di genio: perché la mia mamma mentre finisce di piegare la biancheria si siede su quella già piegata, stirandola letteralmente col sedere! Mi sento quindi in dovere di chiosare la filastrocca con un nuovo verso, potendo così, un giorno, tramandare anche io qualcosa a figli e nipoti:

A stendere bene e a piegare meglio

l’asse da stiro resta in ripostiglio!

E se a stirare sei dura come un mulo,

tu le pieghe schiacciale col culo!”