Totanini in guazzetto in vaso cottura

E adesso chi mi ferma più?

Si perché ora che ho le idee più chiare su questo tipo di cottura, mi sono lanciata nella sperimentazione di alcune ricette e questo guazzetto di totani è riuscito davvero bene.

L’ispirazione mi è venuta grazie ad un piatto (o per meglio dire un barattolo) mangiato a Suvereto c/o La locanda delle stelle. Lì la ricetta prevedeva un misto di pesce e la cosa che mi aveva stupita molto era che il sughetto, benché molto liquido e quindi all’apparenza troppo acquoso per essere saporito, in realtà era gustosissimo e piacevole non solo per inzupparci il pane ma anche da sorbire a cucchiaiate.

Ecco allora che mi sono cimentata e ti lascio di seguito la ricetta sperando che possa entusiasmare te tanto quanto ne sono entusiasta io.

Ingredienti

per due barattoli da 50cl

– 500gr di totani piccolini (ancora meglio i moscardini)

– un barattolo di pomodori datterini pelati bio, Petti

– un mazzetto di prezzemolo

– 2 spicchi d’aglio

– olio e.v.o

– peperoncino

– sale

2 cucchiai di vino bianco secco

Pulisci i totani togliendo il becco e le interiora della testa. Tagliali grossolanamente e lasciali scolare dall’acqua.

Cospargi il fondo dei barattoli con un po’ d’olio, aggiungi un pizzicotto di sale, uno spicchio d’aglio intero o tagliato a metà e un bel po’ di prezzemolo tritato. Aggiungi anche un po’ di peperoncino secondo il tuo gusto (se non ami eccessivamente il piccante sostituiscilo con un poco di pepe nero). Inserisci i totani, aggiungi i pomodori datterini pelati ma senza il loro sugo ( suddividi la quantità della confezione tra i due barattoli) e infine un cucchiaio di vino bianco a barattolo.

Chiudi i barattoli e agitali per mischiare bene il contenuto.

Scegli una pentola abbastanza capiente da contenere i due barattoli e che sia alta abbastanza da superare la loro altezza. Inserisci all’interno uno strofinaccio e i barattoli in modo che nel bollire non sbattano l’uno contro l’altro; aggiungi l’acqua sufficiente a coprirli fino al limite inferiore della ghiera.

Accendi il fornello e cuoci per 15-18 minuti da quando l’acqua raggiunge il bollore.

Trascorso il tempo estrai i barattoli dalla pentola facendo molta attenzione a non bruciarti e lasciali riposare, chiusi, per 5 minuti; usa questo tempo per abbrustolire qualche fetta di pane.

Prima di servirli apri i barattoli, mischia un po’ il contenuto con un cucchiaio e assaggia il brodo per eventualmente aggiustare di sale. Inserisci una fetta di pane e porta in tavola!

Siccome era avanzato un bel po’ di sughetto…il giorno dopo l’ho usato per prepararmi un bel piatto di fregola sarda!

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Dinastie. Requiem per un forno

IL FORNO È MORTO, LUNGA VITA AL FORNO

Caro Candy, 16 anni, arrosti strepitosi, lievitati schifosi. Un folle termostato ma uno sportello a specchio perfetto per darmi il rossetto prima di uscire di casa.

Samsung, non sei un telefono anche se hai un display altrettanto grande. In te ripongo molte aspettative (si vocifera che nella tua enorme pancia si possano cuocere 2 cibi a 2 temperature diverse). La prima cosa che ti cucinerò sarà il dolce più lievitato di cui riesca a trovare ricetta.

Setsubun. Lanciando fagioli al capofamiglia

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Otafuku

 

Oggi era il 3 febbraio (il fatto che manchino pochi minuti alle 24,00 mi fa sentire autorizzata ad usare una certa confusione grammaticale) e in Giappone si festeggiava il Setsubun, l’inizio di primavera secondo il calendario lunare, l’equivalente simbolico del nostro 31 gennaio caratterizzato da riti di purificazione per esorcizzare l’anno appena trascorso e propiziare quello imminente.

La mia conoscenza di questa ricorrenza risale esattamente a 48 ore fa, quando su facebook ho visto un evento organizzato da LAILAC associazione di cultura giapponese a Firenze che ha il grande merito, tra gli altri, di organizzare il bel Festival Giapponese ormai arrivato alla sua XV edizione: la Lailac, su prenotazione, ha preparato un set per due persone comprensivo di sushi misti e di tutto l’occorrente e le spiegazioni necessarie per festeggiare a casa propria il Setsubun. 

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Ma come si celebra questa festa?

Lanciando fagioli di soia! Che come tutti i legumi hanno il potere di assorbire le energie negative e rilasciare quelle positive.

Si dice che in questa data ci sia un buon cambio di energia e che si debba quindi approfittarne: per riuscirci (spiegano alla Lailac) serve l’Ehou-maki ovvero il “Grande maki-sushi della fortuna” che la sera del 3 febbraio appunto va mangiato per intero rivolgendosi – nel caso di quest’anno – verso Ovest-SudOvest (direzione da cui si sa arrivare la fortuna) in silenzio e ad occhi chiusi – per non spaventarla, la fortuna. La festa prevede il rito del Mame maki durante il quale il capofamiglia, dopo aver indossato una maschera demoniaca, viene colpito da una raffica di fagioli al grido di “Oniwa soto! Fukuwa uchi!” – Fuori i demoni! Dentro la fortuna! (questo si può omettere se non ci sono bambini in casa o mattacchioni in vena di scherzi)

Il set preparato dalla Lailac per questa sera era così composto:

  • 9 nigiri sushi (salmone, calamaro, gambero)

  • 12 hosomaki di verdure (cetriolo, tekuan)

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  • 1 ehou maki con le 7 fortune (rotolo grande di sushi con 7 ingredienti associati alla fortuna tra cui la zucca, lo zenzero rosso e i funghi)

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  • 2 bustine per fare la zuppa di miso

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  • bacchette

  • salsa di soia e zenzero

  • istruzioni per il festeggiamento

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  • maschera “Setsubun”

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  • Fagioli di soia per il rituale

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il tutto da ritirare tra le 18,00 e le 20,00 presso la sede dell’associazione. 

Una volta lì, naturalmente, ho preso anche il sake.

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Sperando di aver fatto tutto correttamente abbiamo scacciato i demoni lanciando fagioli di soia tostati fuori da casa al grido di “oniwa soto!” e dopo aver chiuso la porta abbiamo attirato la fortuna lanciando in casa un’altra manciata di fagioli augurando “fukuwa uchi!”. I fagioli a terra sono stati poi raccolti e rigorosamente mangiati durante la cena*. L’impresa più ardua è stata mangiare l’ehou maki con le 7 fortune; decisamente tanto oltre che buono! E speriamo che anche per la fortuna di quest’anno valga la stessa cosa!

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*la consueta correttezza giapponese, oltre ai fagioli di soia per il rito del Mame maki, aveva previsto anche delle arachidi in sostituzione, visto che nelle nostre case si entra con le scarpe e si poteva non aver piacere di mangiare qualcosa raccolto da terra.

Spicciola cronaca di una sera qualunque ma non così qualunque perché è la sera di un giorno parecchio pesante.

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Mi son messa a pulire dopo cena.

Era tanto.

Ho iniziato intenzionata a scrivere, non so cosa ma qualcosa. Mi son detta non ce la faccio, e son rimasta sul divano. Son partita a preparare alcune cose per lavoro intenzionata ad infilarmi poi nel letto e son finita a pulire il bagno passando per la cucina.

Ora in sottofondo musica di tango e il ronzio dell’essiccatore.

poche ore prima….

I parenti della massaia contemporanea

CASALINGO VINTAGE che prepari stasera?

MASSAIA CONTEMPORANEA Eehhh stasera muscolo di grano…

CASALINGO VINTAGE Ah

MASSAIA CONTEMPORANEA è mercoled…

CASALINGO VINTAGE mercoledì vegano, ti becchi il muscolo di grano!

MASSAIA CONTEMPORANEA 😀

Ho-oponopono. Desiderio di lentezza nelle vesti del Bianconiglio

Caro Io, (e cari voi). Mi scuso.

Mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo. È un periodo faticoso, in cui vedere rosa è difficile e trovare il tempo per parlare (o scrivere) è quasi impossibile. Un periodo di lavoro sodo (bene) in cui tutto si concentra nel medesimo tempo, a corsa, ( male); in cui i soldi comunque non si vedono (peggio) e la qualità della vita va a farsi fottere.

Un periodo di molte cose belle vissute in fretta. Non mi resta che fare un bieco resoconto di tutto ciò che avrei voluto assaporare sotto l’egida della lentezza e che invece si risolve in un insulso riassunto.

Del mio aggiornamento agli “anta” che mi ha trasformata in massaia 4.0

Del mio nuovo essiccatore e dei primi esperimenti

Della zuppetta di polpo in umido con patate

Dell’ingresso nel mondo dei lettori elettronici e del Kobo che non volevo (notare il verbo al passato)

Dei prodotti dell’azienda “Barche in cielo”

Della zuppa di zucca gratinata al forno

Di come questo nostro paese mi faccia sempre più schifo e di come il mondo intero sia in balìa dell’animale più ignobile: l’uomo

Del GHI (burro chiarificato) e del medico ayurvedico

Del fatto che il mio corpo non regge lo stress e di come reagisca sempre nello stesso modo

Della farina di mandorle

Delle persone care che stanno male

Delle guance morbide di Falù

Di quanto sia difficile sbarcare il lunario e di come questo influenzi la vita di coppia

Degli spettacoli belli

Del giorno in cui avrei voluto mettere una bomba ai vigili urbani di Prato

Del grano “all’antica”

Del mio amore

Della ridicola prassi di far arrivare il Natale sempre prima e di come a me già sarebbe sufficiente il periodo 8-25 dicembre

Degli amici.

Degli amici.

Degli amici.

Di tutto questo ho scritto solo nella mia testa ma anche lì, in fretta e male. Abbiate pazienza, e spero di averla anche io. Ho bisogno di tempo e invece son diventata la sorella ansiosa del Bianconiglio.

Banana al cioccolato: quando la bontà provoca allucinazioni

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È ora di merenda. E io so esattamente cosa fare. 

Un delirio!

Se volete saperlo anche voi, girate tre volte su voi stessi e dite la parola magica: bananalcioccolato.

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Ed ecco apparire dal fondo, tutt’avvolta in un limbo alonante di luce, una banana.

Tronfia e barcollante, la segue una stecca di cioccolato fondente.

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Che tradotto sarebbe: prendete una banana…

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…e della cioccolata fondente.

L’una fila e l’altro fonde – ma che dico, quest’odore mi confonde – l’una s’apre l’altro s’infila, preparare la merenda non è gran fatica.

  

Ovvero: incidete la banana (con la buccia) per il lungo e infilate tanti pezzettini di cioccolata nell'incavo.
Ovvero: incidete la banana (con la buccia) per il lungo e infilate tanti pezzettini di cioccolata nell’incavo.

Come Re e Regina, come amo e baco, invero come banana e cioccolato…al riparo da tutto voglion stare e nella stagnola si fanno avvoltolare.

E adesso che la temperatura s’è fatta rovente, da aspettar non c’è più niente! Su cogliete…hem, cuocete!

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Cioè: avvolgete in un foglio di carta stagnola la banana col cioccolato e formate un cartoccio; infilatelo in forno a 200° per 15-20 minuti (secondo le dimensioni della banana).

Lo sportello del forno si apre, il profumo porta pace. Si sfila il cartoccio, la buccia è nera, due anime chiuse con la stessa cerniera.

Appare un cucchiaio e scava nella polpa, d’istinto soffio il vapore che si porta. Apro la bocca e chiudo gli occhi, l’aspetto è brutto ma il sapore coi fiocchi!

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ATTENZIONE! è incandescente

Passi

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26 ottobre 2014
Oggi, nel mettere un po’ d’ordine, ho buttato le mie prime scarpe da tango (Tango Leike); da tango prima e da sandalo poi, quando ho salito qualche centimetro di tacco. E nell’atto di gettarle non ho potuto fare a meno di ringraziarle. Non era tanto il dispiacere di gettarle quanto di gettarle così, come un oggetto qualsiasi, loro che invece erano testimoni di un grande vissuto, solo in piccola parte tanguero. Per un attimo, solo per un attimo, ho pensato di seppellirle o interrarle in un vaso, per fortuna un attimo non mi è stato sufficiente ad arrivare sul terrazzo.
Però qualcosa ho fatto: ho scritto un biglietto. A loro e forse anche a me.

Ona! Ona! Ona! ma che bella rificolona!

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Ona Ona Ona ma che bella rificolona

la mia l’è co’ fiocchi, la tua l’è co’ pidocchi!

è più bella la mia, di quella della zia…*

Sapete cos’è la festa della Rificolona, che si festeggia a Firenze il 7 settembre? (oltre che la mia festa preferita intendo…)

Così la definisce il “VOHABOLARIO del vernacolo fiorentino e del dialetto toscano di ieri e di oggi” di Stefano Rosi Galli:

La rificolona (pronuncia rifiholona o rifriholona) è una festa tradizionale fiorentina. la sua origine risale a prima dell’800, quando tutti i contadini, la sera del 7 settembre, vigilia della festività religiosa che commemora la natività della Madonna, a cui Firenze è devota, s’incamminavano dalle colline di Vallombrosa e  dell’Impruneta in una lenta marcia verso piazza Santissima Annunziata, sia per rendere omaggio alla Vergine Maria, sia per vendere i loro prodotti sotto il loggiato dello Spedalino degl’Innocenti. Il termine sembra che derivi da “fierùcola”, cioè una fiera di non eccessiva importanza. Mentre la tradizione di portare lanterne di carta, si deve al fatto che la città, fin dal XIII secolo, veniva illuminata soltanto dalle lampade a cera o ad olio poste per lo più agli angoli delle vie. I primi lampioni, prima a olio, poi a gas, e infine elettrici, arrivarono solo nell’800. La sera del 7 settembre i pellegrini si accomodavano sotto i loggiati della piazza e alla luce dei loro lampioncini di carta o tela colorata cantavano le laudi alla Vergine. E da qui è poi nata la tradizionale festa come la conosciamo oggi. Negli anni ’50, questa pittoresca festa fiorentina si svolse anche sull’Arno e precisamente a monte del fiume, nel tratto fra Bellariva e la Pescàia di San Niccolò. I bambini, quando si incamminano verso la festa, sono soliti cantare una tipica filastrocca che tutti conoscono*. San Giovanni Valdarno è l’unico paese della vallata fiorentina che continua a celebrare la festa. Forse per rivendicare, come dice qualcuno, una fiorentinità persa due secoli fa, quando fu stabilito il confine con Arezzo giusto alle porte del paese.

La festa vede i bambini girare per le vie con la loro rificolona di carta, dalle fogge più diverse (sole, luna, casa, lanterna, animali ecc…) appesa alla canna e illuminata dalla candela che sta all’interno. Altri bambini fanno a gara a bucarle con cerbottana e pirulini (prima) o palline di stucco (oggi), infuocandole.

Il Pirulino è un piccolo cono di carta fatto a mano, finissimo e appuntito, usato come proiettile della cerbottana.

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E’ una festa magica.

Il caos che ho dentro e le strategie per arginarlo

 

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Oggi vi aprirò il cuore, il cuore del mio armadio. E credetemi se vi dico che è una parte estremamente personale perché in esso sono racchiuse alcune delle mie più profonde debolezze.

Quando comprai questa casa, l’architetto che l’aveva ristrutturata e di cui non finirò mai di dire male per tutta una serie di motivi che non sto a spiegare adesso, aveva previsto lo spazio per un armadio normale. Uno di quelli che per due persone “normali”, forse stringendosi un po’, sarebbe stato sufficiente ad ospitare abiti e biancheria per la casa. Ma in questo appartamento una delle due persone che lo abitano, tanto normale non lo è – almeno per due motivi:

  1. la professione: fare l’attrice, il clown e il clown-ospedaliero prevede costumi, càmici, oggetti, cappelli, scarpe – di ogni epoca, colore e tessuto.

  2. la fissazione: per i vestiti e la propria immagine.

    Questa fissazione è in parte una deformazione di famiglia: tra me, mia mamma e mia sorella la differenza in questa passione sta nei gusti (e neanche troppo) e, in certa misura, nella disponibilità economica o nella tendenza a fregarsene, di questa disponibilità; per il resto, dateci un negozio o una bancarella e riusciremo a trovare qualcosa da comprare anche se gli articoli fossero destinati a laboratori chimici (vuoi mettere il fascino delle ampolline???!!!) o alla cardiochirurgia (una valvola a farfalla ha sempre un suo fascino).

    Ciò che non può la tendenza genetica lo fa l’insicurezza – non vi dico le ore passate davanti allo specchio provando tutto il possibile…ore che aumentano esponenzialmente in fase di sindrome premestruale.

Insomma, addio al progetto del negligente architetto e benvenuto al mio, realizzato grazie alle mani d’oro del mio babbo elettivo Giorgio grazie al quale ho un armadio a tutta parete, alto fino al soffitto capace di contenere i miei vestiti e quelli di mio marito, anche se in percentuale assai differente. Anche la biancheria per la casa? No, quella sta nel vano contenitore del letto. Anche tutti i costumi di scena? No, la maggior parte sta in cantina.

Ma perché, vi chiederete, racconto queste cose? Perché questo è periodo di cambio stagionale degli armadi, pratica che mette a dura prova i miei nervi e quelli di tante massaie, soprattutto quelle contemporanee che troppo spesso, in questo mondo in cui tutto passa attraverso l’immagine sono, loro malgrado, affette dal morbo dell’acquisto compulsivo.

Per quanto mi riguarda la cosa più snervante è il caos che a fine stagione regna tra grucce e scaffali, potete vederne un esempio qui sotto

Il Big Bang
Il Big Bang

no, non ci sono stati feriti.

Comunque, armata di pazienza, di solito ne vengo a capo e riesco a riportare tutto a questo grado di ordine

La quiete dopo la tempesta
La quiete dopo la tempesta

che durerà circa un mese e mezzo per poi iniziare il suo cammino lento ma inesorabile verso il big bang.

Nel rimettere a posto faccio pulizia, eliminando cose vecchie e acquisti sbagliati che spesso, messi nei sacchi per poi essere ceduti a chi può farne buon uso e a varie amiche, acquistano più o meno questa dimensione

Lo smaltimento
Lo smaltimento

Si, potete dirlo che sono pazza! (soprattutto se considerate che questa è solo una parte di quello che ho dato via).

In anni di accumulo e smaltimento ho potuto desumere alcuni punti fermi:

  1. non serve a niente sapere di essere molto brava a scovare cose belle (per il mio gusto naturalmente) rimanendo dentro un badget alla mia portata, perché quando i sacchi di cose da dare via sono così tanti, è inevitabile pensare a quanti soldi ho gettato.

  2. Per quanti buoni propositi io faccia, la stagione entrante mi vedrà nuovamente accumulare e dare via.

  3. dopo aver buttato o dato via qualcosa arriverà sempre il momento in cui mi maledirò per averlo fatto, perché tornerà sempre un’occasione in cui proprio “quello” sarebbe stato perfetto.

Strategie per arginare questi problemi? Ne ho. Funzionano? Quasi mai, ma non per colpa loro.

Vediamole:

  • Evitare accuratamente di avere tempo libero (soprattutto la mattina) per andare a giro tra bancarelle e mercatini – e per una “precaria” come me…

  • Fare un fioretto, una sorta di patto con se stessi mettendo in gioco una posta a cui tenete molto in modo da avere un valido motivo per frenarvi (il trucco sta nel procedere per periodi brevi e con obiettivi precisi: non ditevi genericamente non comprerò niente di superfluo per un anno, non funziona)

  • Non buttate le cose della stagione appena finita, aspettate che ritorni: mettete via le cose invernali e fate ripulisti tra le cose della stagione entrante; solo così avrete (quasi) la certezza di dare via ciò realmente non volete più; un maglione può esservi venuto a noia perché lo avete portato tutto l’inverno e pur credendo di non volerlo mettere più, l’inverno successivo lo rivorrete. Aspettare almeno tre cambi stagionali prima di gettare per noia.

Da quest’anno però a questi punti strategici ne aggiungo un altro – da terapia d’urto – ovvero guardare questo video dal minuto 15 circa. Si tratta di un servizio su un uomo meraviglioso, guardatelo, vi innamorerete di Raphael come è successo a me.

Quanto durerà quest’innamoramento? Temo fino a martedì prossimo, giorno di mercato alle Cascine.

Con rassegnazione,

la vostra massaia compulsiva.

 

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InstaRubric "Le minchiate che mi compro"
InstaRubric
“Le minchiate che mi compro”

 

Ho inaugurato su Instagram la rubrica “Le minchiate che mi compro”, ovvero: immortalare pessimi acquisti per un’autoanalisi più efficace. Perché  la massaia contemporanea non poteva non essere affetta dalla compulsione del secolo, quella dell’acquisto. Solo su Instagram però, così il “casalingo vintage” che è mio marito non la vede (non stai leggendo questo post amore, vero??!!!): lui e il suo Nokia c2 non appartengono a questo mondo.

Cerchiamoci su instagram e se anche voi comprate delle colpevoli minchiatelle compulsive fatemele vedere; ci sentiremo meno soli?.

Io sono kukisia!

 

e….
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Tasquino: il block notes pronto da sfilare

Bellissimi!

Artigianeide

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Da una parte software e app, dall’altra la vecchia carta e penna.

Su questa singolare contraddizione e a dispetto dei tempi lo staff di

semiserie and son

ha perfezionato questo curioso block notes.

Sull’onda di una rinnovata primavera per il ritorno delle giacche come capo indispensabile da avere nel proprio armadio, ecco il block notes da taschino giocato tutto sulla forma.

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HO UN CUORE METROPOLITANO -2-

Cuore metropolitano Copertina2

“Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d’un lampione e i piedi penzolanti d’un usurpatore impiccato (…) Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere” – Le città invisibili, I. Calvino

o nei Cuori Metropolitani.

Io ne ho trovati altri, ve li mostro:

#10 Il cuore-specchio: caduto da una borsa nell'oblio, ho perso un'occasione per riflettere.
#10 Il cuore-specchio: caduto da una borsa nell’oblio, ho perso un’occasione per riflettere.

#11 Ti aspetto domani all'uscita della scuola. Mi attacchi sul diario?
#11 Ti aspetto domani all’uscita della scuola. Mi attacchi sul diario?

In salita o in discesa?
#12 In salita o in discesa?

rAccordo d'amore - più metropolitano di così!
#13 rAccordo d’amore – più metropolitano di così!

#14 Da uno scarto sono nato, un filtro per tabacco ormai schiacciato che comunque un po' di sentimento ha generato
#14 Da uno scarto sono nato – un filtro per tabacco ormai schiacciato – un po’ di sentimento ha generato.

Se togli il primo strato, arrivi al cuore delle cose.
#15 Se togli il primo strato, arrivi al cuore delle cose.

Sono caduto dal petto dell'uomo d latta sulla strada per il regno di Oz. (leggi "incarto per panino con mortadella)
#16 Sono caduto dal petto dell’uomo d latta sulla strada per il regno di Oz. (leggi “incarto per panino con mortadella)

Buca si, ma con stile!
#17 Buca si, ma con stile!

cuore di Pasqua, cuore di cioccolato, cuore in mano, amore dolce
#18 cuore di Pasqua, cuore di cioccolato, cuore in mano, amore dolce

e nella categoria “gli speciali”:

Cuore metropolitano speciale n°2 (scovato da Michela Z. a Wroclaw in Polonia)
Cuore metropolitano speciale n°2 (scovato da Michela Z. a Wroclaw in Polonia)

Volete vedere i cuori metropolitani parte 1? andate QUI

Ma potete seguirli anche su instagram

 

 

 

 

Lo zen e l’arte di piegare le mutande

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Oggi finalmente una pausa. Da gennaio è iniziato un periodo lavorativo piuttosto impegnativo che terminerà a maggio, quindi denti stretti e via andare! Perché, nella migliore (leggi peggiore) tradizione del lavoratore atipico – quello, per intendersi, dei contratti a culetto (ops, progetto!), quello che paga i contributi ma che non vedrà mai la pensione perché i suoi, di contributi, servono a pagarla a qualcun altro – tutti lavori si accumulano nello stesso periodo per poi lasciarti improvvisamente in un vuoto cosmico.

Comunque, oggi sono a casa, sola, a tentare di smaltire una tosse tremenda che mi porto dietro da giorni, ripromettendomi relax e dolce far niente. Infatti, dopo aver amoreggiato con l’apparecchio per l’aerosol ho: fatto la lavatrice, preparato il lesso perché stasera voglio fare un’insalata,  passato l’aspirapolvere, dato il cencio in terra (= passato lo straccio), riordinato, piegato la biancheria.

Non c’è niente da fare, io in ozio per più di 3 minuti non riesco a stare; più sono stanca e stressata più ho bisogno di ordine e pulizia e questo, come capirete bene, è un cane che si morde la coda – perché se dopo 8 ore di lavoro per rilassarti devi prima riordinare, pulire e cucinare una buona cena, quando hai finito non ti rilassi, collassi!

Però oggi, il tutto è avvenuto con calma, col piacere di farlo e nella piena accettazione della mia natura. Dunque ho sperimentato la pratica zen della piegatura delle mutande: si, perché se la biancheria ammonta a 12 mutande da uomo, 21 da donna e un numero imprecisato di calzini, canottiere e reggiseni, devi per forza restare zen. Come? Fate in questo modo:

preliminari

– sistemate sul divano la biancheria da piegare

– accendete un po’ di musica, una candela e un bastoncino d’incenso

– stendete sul viso una maschera di bellezza

poi sedetevi accanto al vostro mare di panni e, dopo aver pescato il primo paio di mutande stendetelo bene e avviate la

pratica

1. inspirando piegate verso l’interno il lembo sinistro

Lo zen e l'arte di piegare le mutande

2. espirando piegate verso l’interno il lembo destro

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3. inspirando piegate verso l’alto il lembo basso

Lo zen e l'arte di piegare le mutande 3

4. emettendo un Oṃ (ॐ) sistemate da una parte le mutande piegate

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5. ricominciate con un nuovo paio di mutande

Se non siete andati in iperventilazione, complimenti! siete dei piegatori zen. Se invece vi gira la testa, poco male; godetevi lo stato di dolce stordimento, accasciatevi sulla biancheria e dormite. Avrete finalmente quel relax che tanto desideravate!